Il Decreto End of Waste che dovrebbe essere emanato entro giugno rischia di bloccare le attività di riciclo e i cantieri per la realizzazione delle opere previste dal PNRR.
La normativa sui rifiuti da costruzione e demolizione in arrivo entro il prossimo 30 giugno, provvedimento considerato tra le “milestone” del 2022, rischia di passare alla storia non come l’atteso Decreto “End of Waste” per i materiali inerti, ma come il Decreto che sancirà la fine delle attività che consentono ogni anno di riciclare circa 40 milioni di tonnellate di questi rifiuti.
Se non si porrà rimedio tempestivamente a quanto oggi previsto nello schema di decreto inviato alla Commissione europea, da gennaio del prossimo anno gli impianti del settore resteranno chiusi e si bloccheranno le attività di riciclo e di riutilizzo in tutta la filiera, oggi ancor più strategica in considerazione del piano di opere straordinarie che prenderanno avvio con il PNRR.
Così come è stato concepito infatti, il testo, nella sua formulazione attuale rischia di segnare, contrariamente alle attese, non l’inizio di una nuova era di sviluppo per le attività di riciclo di questi rifiuti, ma il loro de profundis.
A determinare la situazione di allarme sono soprattutto i criteri dei controlli da effettuare sui prodotti delle lavorazioni, indicati nelle tabelle allegate al decreto e in particolare i valori di concentrazione limite di solventi e idrocarburi policiclici aromatici (IPA).
La presenza negli aggregati di recupero di IPA o del cromo esavalente è legata principalmente a costituenti dei rifiuti in ingresso al processo di recupero (che quindi si ritrovano necessariamente negli aggregati riciclati), come il conglomerato bituminoso o il cemento. I relativi limiti di concentrazione che verrebbero imposti dal nuovo Regolamento sono stati evidentemente ricavati dalla tabella relativa agli usi dei suoli sottoposti a bonifica destinati a zone residenziali o a verde: ma, anche qualora si intendesse impropriamente “assimilare” i prodotti riciclati ai suoli, questi valori non corrispondono affatto all’impiego prevalente degli aggregati riciclati, che sono utilizzati per oltre il 90% in opere infrastrutturali (in rilevati, sottofondi, etc.). Anche volendo seguire la logica di assimilazione ai suoli, quindi, per tali usi dovrebbero essere fissati limiti molto più elevati, prendendo a riferimento la tabella relativa alle aree industriali/commerciali.
Un errore questo, che rischia di bloccare non solo la filiera del riciclo, ma anche quella delle costruzioni, da cui provengono i rifiuti in questione, e a cui sono in parte destinati gli aggregati da recupero.
Infatti, se si dovessero applicare i nuovi limiti indicati nel testo del futuro Decreto di End of Waste, i rifiuti provenienti dalla demolizione e dalla ristrutturazione degli edifici, pur sottoposti a corretto processo di riciclo, darebbero origine a prodotti non conformi al suddetto Decreto; non resterebbe quindi che conferirli in discarica come rifiuti,(sempre ammesso che sul territorio siano disponibili impianti di questo tipo) e salutare definitivamente tanto decantata Economia Circolare.
Nel caso peggiore, i rifiuti inerti rischiano di essere abbandonati sul territorio con danni non tanto ambientali quanto economici per la collettività (i costi di conferimento per lo smaltimento in discarica sono maggiori di quelli di un impianto di recupero, inoltre in caso di abbandono sul territorio, vi sarebbero da aggiungere i costi legati rimozione dal terreno), senza tenere in considerazione che il futuro Decreto esclude dai rifiuti in ingresso nel processo di riciclo, l’imponente mole di macerie da terremoto come ad esempio quelle legate al sisma del 2016 in Abruzzo.
Le norme transitorie ivi previste daranno fiato al settore solo fino all’inizio del nuovo anno, quando il decreto entrerà in vigore.
A inizio 2023 quindi i 1.800 impianti presenti sul territorio nazionale che ogni anno recuperano come materia più di 40 mln di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione (pari al 78% di quanti se ne producono) non potendo produrre prodotti conformi saranno di fatto costretti a cessare la propria attività.
ANPAR invita pertanto il Ministero a riaprire il confronto con gli con gli operatori di settore e a rivedere i limiti dei parametri individuati nelle tabelle al decreto soprattutto in funzione della destinazione d’uso a cui i materiali che hanno cessato di essere rifiuti sono destinati, anche in linea con le scelte adottate da altri Paesi europei.